Arrivo in Giordania
Il 4 ottobre 2025, nel pomeriggio, sono arrivata in Giordania per un viaggio di carattere personale e turistico, effettuato con passaporto turistico italiano.
L’obiettivo era quello di attraversare, il giorno successivo, il valico di frontiera con Israele per una visita turistica nella città di Gerusalemme, regolarmente pianificata e autorizzata.
Avevo infatti ottenuto, in data 1 ottobre 2025, l’autorizzazione elettronica di ingresso (ETA-IL) rilasciata dalle autorità israeliane, che mi consentiva di entrare in Israele a fini turistici.
Il respingimento al valico di Allenby
Il 5 ottobre mi sono recata al valico di Allenby (King Hussein Bridge) con un’agenzia locale per oltrepassare il confine e raggiungere Gerusalemme.
Il valico prevede due punti di controllo:
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Il primo, di competenza giordana, si è svolto senza alcun problema.
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Al secondo, sotto la responsabilità israeliana, sono stata fermata e sottoposta a un interrogatorio approfondito.
Durante l’interrogatorio mi sono state rivolte domande sui motivi del viaggio, nonostante fosse chiaramente indicato come turistico, e sulle mie posizioni pubbliche riguardo alla Palestina.
Mi è stato chiesto, in particolare, perché sui miei canali social avessi parlato della “causa palestinese” e non del 7 ottobre 2023.
Ho spiegato che tale affermazione era falsa, poiché nei miei canali ufficiali ho pubblicamente condannato gli attacchi del 7 ottobre, esprimendo solidarietà alle vittime e ripudio di ogni forma di violenza.
Nonostante ciò, al termine del colloquio mi è stato comunicato che non mi sarebbe stato consentito entrare in Israele.
Poche ore dopo ho ricevuto una e-mail dalla Israel Population and Immigration Authority, con la quale mi veniva notificata la revoca dell’autorizzazione ETA-IL, motivata da un “cambiamento nelle circostanze del mio caso”.
Mi è stato poi consegnato un documento ufficiale di diniego di ingresso, rilasciato presso il valico di Allenby il 5 ottobre 2025, che cita come motivazione il riferimento generico a “public security or public order” (sicurezza pubblica o ordine pubblico).
La permanenza in Giordania
Dopo il respingimento, mi sono trovata di fronte alla scelta se rientrare immediatamente in Italia o proseguire il viaggio in Giordania.
Insieme a Davide Tripiedi, anch’egli respinto alla frontiera, abbiamo deciso di rimanere e di riorganizzare i giorni già programmati del soggiorno.
Abbiamo visitato diversi campi di rifugiati palestinesi ad Amman, incontrando persone, famiglie e operatori locali.
In Giordania ho trovato un Paese accogliente, aperto e solidale, che da decenni offre ospitalità e integrazione a molti palestinesi arrivati dopo la guerra del 1948.
Alcuni, come la nostra guida Mohamed, sono riusciti a ricostruirsi una vita autonoma e dignitosa; altri, pur avendo ottenuto la cittadinanza giordana, hanno scelto di restare nei campi per motivi economici o di appartenenza culturale.
Nel secondo campo visitato ho potuto constatare l’estrema povertà e la fragilità dei bambini, spesso costretti a interagire con i turisti per contribuire al sostentamento familiare.
Considerazioni finali
Essere respinta alla frontiera israeliana, durante un viaggio turistico e personale verso Gerusalemme, e dopo un interrogatorio basato su opinioni e contenuti pubblici, è stato un episodio profondamente ingiusto e discriminatorio.
Non sono state fornite motivazioni oggettive legate alla sicurezza o all’ordine pubblico.
La sensazione è quella di essere stata valutata per le mie idee e non per il mio comportamento, e di aver subito un provvedimento fondato su pregiudizi ideologici.
In Giordania, invece, ho trovato rispetto, dialogo e accoglienza.
Una monarchia che, pur con le sue complessità, ha mostrato maggiore apertura e umanità rispetto a chi si definisce “l’unica democrazia del Medio Oriente”.
Tornerò in Giordania? Sì.
Riproverò a entrare in Israele? Sì.
Perché credo che la ricerca della verità, della giustizia e della pace non possa essere fermata da un confine o da un interrogatorio.
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